Don Bosco

Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 ai Becchi, frazione di Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco). La sua fu una famiglia di poveri contadini. Rimase orfano del papà, Francesco, a soli due anni.
Sua madre, Margherita, lo tirò su con tenerezza ed energia. Gli insegnò a lavorare la terra e a vedere Dio dietro la bellezza del cielo, l’abbondanza del raccolto, il temporale che schiantava le viti. Mamma Margherita, nella chiesa, aveva imparato a pregare, e lo insegnava ai suoi figli. Per Giovanni pregare voleva dire parlare con Dio in ginocchio sul pavimento della cucina, pensare a lui seduto sull’erba del prato, fissando lo sguardo al cielo.

 

Il grande sogno

A soli 9 anni, Giovanni ebbe il primo, grande sogno che segnò tutta la sua vita. Vide una turba di ragazzi poverissimi che giocavano e bestemmivano. Un Uomo maestoso gli dice: “Con la mansuetudine e la carità dovrai conquistare questi tuoi amici”, e una Donna altrettanto maestosa aggiunse: “Renditi umile, forte e robusto. A suo tempo tutto comprenderai”. Gli anni che seguirono furono orientati da quel sogno.

Giovanni era convinto che, per far del bene a tanti ragazzi, doveva studiare e diventare prete. Ma il fratello Antonio, che aveva già 18 anni ed era un contadino rozzo, non ne voleva sapere, anzi gli getta via i libri e lo picchiava. Una gelida mattina del febbraio 1827, Giovanni partì da casa alla ricerca di un posto di garzone.

Aveva appena 12 anni, ma per le violente litigate con Antonio, rendevano impossibile la vita in casa. Per tre anni lavorò come ragazzo di stalla nella cascina Moglia, vicino a Moncucco, conduceva le bestie al pascolo, mungeva le mucche, portava il fieno fresco nelle mangiatoie, guidava i buoi che aravano i campi.

Nelle lunghe notti d’inverno e seduto all’ombra degli alberi d’estate (mentre le mucche brucavano intorno) ricominciava a studiare. Tre anni dopo, Antonio si sposò, cos’

Giovanni tornò a casa a frequentare prima le scuole di Castelnuovo, poi quelle di Chieri. Per mantenersi imparò a fare il sarto, il fabbro, il barista, dava anche ripetizioni. Era intelligente e brillante, e attorno a lui si radunavano i migliori ragazzi della scuola, insieme a loro fondò il suo primo gruppo, la “Società dell’allegria”.

A vent’anni, nel 1835, Giovanni Bosco prese la decisione più importante della sua vita: entra in Seminario. Sei anni di studi intensi, che lo portarono al sacerdozio.

Diventa “Don Bosco”

  Giovanni Bosco, il 5 giugno 1841, fu consacrato prete dall’Arcivescovo di Torino. D’ora in poi “Don Bosco” si dedicò finalmente ai ragazzi disperati che aveva visto in sogno.

Arrivato a Torino e cominciò ad esplorare la città per farsi un’idea delle condizioni morali dei giovani. Ne rimane sconvolto. Ragazzi che vagabondavano per le strade, disoccupati, sbandati e depressi pronti a qualsiasi cosa. L’impressione più sconvolgente, don Bosco la provò entrando nelle prigioni. Scrisse: “Vedere un numero grande di giovanetti, dai 12 ai 18 anni, tutti sani, robusti, d’ingegno sveglio, vederli là inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentare di pane spirituale e materiale, fu cosa che mi fece orrore”. Capì che non poteva rimanere indifferente a tutto ciò e decise di agire per cercare di sanare questa difficile situazione.

Occorreva tentare vie diverse, inventare schemi nuovi, provare un apostolato volante tra botteghe, officine, mercati.

Don Bosco avvicinò il primo ragazzo immigrato l’8 dicembre 1841. Tre giorni dopo attorno a lui erano in nove, tre mesi dopo venticinque, nell’estate ottanta. “Erano selciatori, scalpellini, muratori, stuccatori che venivano da paesi lontani”, ricorda nelle sue brevi Memorie.

Nacque il suo oratorio. Non una faccenda di beneficenza che si esauriva alla domenica. Cercare un lavoro per chi non ne ha, ottenere condizioni migliori per chi è già occupato, fare scuola dopo il lavoro ai più volenterosi divenne l’occupazione fissa di don Bosco. Alcuni dei suoi ragazzi, però, alla sera non sapendo dove andare a dormire, finivano sotto i ponti o negli squallidi dormitori pubblici. E cosi il problema di accogliere non per alcune ore bensì a tempo pieno ragazzi senza casa divenne fondamentale.

Il problema dei soldi

I problemi che dovette affrontare furono di natura finanziaria, divenne promotore in prima persona della sua iniziativa e si mese alla ricerca di fondi. La prima benefattrice è la madre Margherita, povera contadina di 59 anni, che lasciò la sua casa ai Becchi e venne a far da madre ai barabbotti, vendendo tutto quello che possedeva per sfamare i ragazzi. I ragazzi ospitati da don Bosco diventano 36 nel 1852, 115 nel 1854, 470 nel 1860, 600 nel 1861, fino a toccare il tetto di 800.

E tra quei ragazzi, qualcuno chiese di “diventare come lui”, di spendere la vita per altri ragazzi in difficoltà. Nascque così la Congregazione Salesiana. I primi a farne parte furono Michelino Rua, Giovanni Cagliero (che diventerà cardinale), Giovanni B. Francesia.

Martellare una suola e maneggiare la lesina

I Salesiani diedero ai giovani non solo pane e una casa, ma procuravano loro istruzione professionale e religiosa, possibilità di inserirsi nella vita sociale e buoni contratti di lavoro.
Nell’archivio della Congregazione Salesiana si conservano alcuni documenti rari: un contratto di apprendistato in carta semplice, datato novembre 1851; un secondo in carta bollata da centesimi 40, con data 8 febbraio 1852; altri con date successive. Sono tra i primi contratti di apprendistato che si conservano in Torino. Tutti venivano firmati dal datore di lavoro, dal ragazzo apprendista e da don Bosco. Alcuni padroni usavano gli apprendisti come servitori e sguatteri. Egli li obbliga a impiegarli solo nel loro mestiere. I padroni picchiavano, e don Bosco esigeva che le correzioni siano fatte solo a parole. Si preoccupava della salute, del riposo festivo, delle ferie annuali.

Nell’autunno del 1853 iniziarono nell’oratorio di Valdocco i laboratori dei calzolai e dei sarti, il primo maestro dei calzolai fu don Bosco stesso. Dopo vennero i legatori, i falegnami, i tipografi, i fabbri. Per questi suoi laboratori, che presto trapiantò in altre opere salesiane fuori Torino, don Bosco “inventò” un nuovo genere di religiosi: i coadiutori salesiani, di uguale dignità e diritti dei preti e chierici, ma specializzati per le scuole professionali. (Alla morte di don Bosco, le scuole professionali salesiane saranno 14, distribuite in Italia, Francia, Spagna e Argentina. Cresceranno fino a toccare il numero di 200, sparse nel mondo).

Nel 1872, instancabile, fondò la Congregazione femminile delle figlie di Maria Ausiliatrice, detta delle Suore Salesiane. Costruì il santuario di Maria Ausiliatrice in Valdocco e fondò 59 case di Salesiani in sei nazioni.

Ebbero inizio le “Missioni Salesiane” inviando preti, coadiutori e suore nell’America Latina. Pubblicò e scrisse lui stesso collane di libri popolari “per la gente cristiana e i ragazzi del popolo”. Inventò un “sistema di educazione” familiare, fondato su tre valori: Ragione, Religione, Amorevolezza, che presto tutti riconoscono come “il sistema ideale” per educare i giovani. Quando qualcuno gli elencava le opere create, don Bosco interrompeva brusco: “Io non ho fatto niente. È la Madonna che ha fatto tutto”. Gli ha tracciato la strada con quel misterioso “sogno”, quando era un ragazzetto.”

Morì all’alba del 31 gennaio 1888 circondato dal cordoglio di tutti quelli che lo avevano conosciuto, lasciando dietro di sé una scia luminosa di opere concrete e di realizzazioni. Ai Salesiani che vegliavano attorno al suo letto, mormorò nelle ultime ore: “Vogliatevi bene come fratelli. Fate del bene a tutti, del male a nessuno.. . Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in Paradiso”.

Don Bosco venne dichiarato venerabile nel 1907, Beato nel 1929 e Santo nel giorno di Pasqua, 1 aprile 1934. Il 31 gennaio 1958 Pio XII, su proposta del Ministro del Lavoro in Italia, lo ha dichiarato “patrono degli apprendisti italiani“.

Messaggio di Don Bosco

A distanza di cento anni, don Bosco ha un messaggio da rivolgere ad ogni giovane: “Io ero una persona come te. Ho voluto dare un senso pieno alla mia vita. Con l’aiuto di Dio ho rinunciato ad avere una famiglia mia per diventare papà, fratello, amico di chi non aveva papà, fratelli, amici. Se vuoi essere come me, andremo insieme a spendere la vita in una favela sudamericana, tra i lebbrosi dell’India, o nella periferia di una città italiana, dove troveremo tanti poveri, anche se nascosti: poveri di affetto, di senso della vita, poveri che hanno bisogno di Dio e di te per vivere. Ma se anche non ti senti di rischiare la vita com’io l’ho rischiata, ti ricordo una verità importantissima: la vita, questo grande dono che Dio ci ha dato, bisogna spenderla, e spenderla bene. La spenderai bene non chiudendoti nell’egoismo, ma aprendoti all’amore, all’impegno per chi è più povero di te”.