Zafferana Etnea

Riprendono gli incontri dei genitori dei salesiani di don Bosco

Il penultimo fine settimana del mese di Luglio – fra le molteplici attività estive – ha visto ventuno nuclei familiari dei salesiani di don Bosco della Sicilia e della Tunisia radunati insieme a Zafferana Etnea per vivere una due giorni di fraternità e condivisione.

I nostri genitori in passato avevano manifestato all’Ispettore – Don Pippo Ruta – il desiderio di mettersi insieme e confrontarsi su esperienze e difficoltà, emozioni e dubbi del vissuto comune nell’accettare il volere di Dio sui propri figli.

Organizzato da una coppia di sposi, genitori di un salesiano tirocinante, e dal direttore dell’Istituto Teologico San Tommaso di Messina, a questo incontro ha partecipato l’Ispettore presentando in una relazione la figura di Mamma Margherita e Papà Francesco Bosco; sottolineando così l’importanza della famiglia nel cammino vocazionale del consacrato salesiano.

Questi incontri fra genitori dei salesiani sono stati ripresi dopo una lunga interruzione a causa della malattia e della morte di don Antonino Munafò sdb. Quest’ultimo confratello, nella sua esperienza pastorale ha manifestato fortemente  e lavorato attivamente nell’organizzare incontri e creare rete fra i primi benefattori della Congregazione Salesiana, che hanno donato a Dio, a Don Bosco e ai giovani poveri, quanto di più prezioso possedevano: i loro figli.

 


 Intervento di don Pippo Ruta, in occasione dell’incontro

Papà Francesco… Mamma Margherita e Don Bosco

 

Don Pippo Ruta

 

 

«In questo contesto di cambiamento, la famiglia continua a rappresentare un riferimento privilegiato nel processo di sviluppo integrale della persona: su questo punto concordano tutte le voci che si sono espresse. […] I giovani sottolineano anche come le difficoltà, le divisioni e le fragilità delle famiglie siano fonte di sofferenza per tanti di loro. Le risposte al Questionario on Line mostrano come la figura materna sia il riferimento privilegiato dei giovani, mentre appare necessaria una riflessione in merito a quella paterna, la cui assenza o evanescenza in alcuni contesti, in particolare quelli occidentali, produce ambiguità e vuoti che investono anche l’esercizio della paternità spirituale» (Instrumentum Laboris, Sinodo 2018, nn. 11-12).

 

La nostra esperienza personale e quella che ascoltiamo dai giovani di oggi, ci porta a considerare la genesi della nostra famiglia di appartenenza e lo sviluppo della paternità e maternità che ognuno di noi sviluppa nei confronti di altri, “condizionato” in positivo e in negativo da quanti ci hanno generato ed educato. Chi riceve il dono della vocazione alla vita consacrata e/o al ministero presbiterale esprime paternità o maternità verso chi, se non lo ha generato fisicamente, può essere generato o rigenerato con il servizio educativo e l’accompagnamento spirituale.

Lo specchio della riflessione che condivido con voi è duplice: da una parte la famiglia di Gesù di Nazareth, dall’altra la famiglia di Don Bosco. Alla luce di queste, ognuno potrà rivisitare, facendo memoria, la propria famiglia, annotandone gioie e dolori, fatiche e speranze e ricavandone forza per il presente e per il futuro. Ognuno di noi potrà riconsiderare e riesprimere la propria paternità e maternità.

 

  1. In principio era la madre

 

Il primo capitolo della Vita di Don Bosco dello scrittore e poeta danese Giovanni Joergensen (1866-1956) porta il titolo espressivo “In principio era la madre[1] per indicare l’importanza e l’imprescindibilità per il nostro Fondatore della madre, a tutti nota familiarmente ai Becchi, a Valdocco come in tutti gli ambienti salesiani sparsi nel mondo[2], come “mamma Margherita” (1788-1856).

Nessuno può mettere in dubbio il capitale umano e di fede che Margherita Occhiena lasciò ai suoi tre figli: il primo “adottivo” Antonio (1808-1849) e i rimanenti Giuseppe (1813-1862) e Giovanni Melchiorre (1815-1888) avuti dal marito Francesco Bosco (1784-1817)[3].

Partiamo, nell’istantanea della famiglia Bosco, da colei che lo diede alla luce il 16 agosto 1815. Così Don Gian Battista Lemoyne la tratteggia “a tutto tondo” nella prima biografia della genitrice di Don Bosco pubblicata nel 1886:

 

«Non descriveremo fatti straordinari ed eroici, ma ritrarremo una vita semplice, costante nella pratica del bene, vigilante nell’educazione dei figli, rassegnata e previdente nelle angustie della vita, risoluta in tutto ciò che il dovere le imponeva. Non ricca, ma con un cuore di regina, non istruita in scienze profane, ma educata nel santo timor di Dio, priva di ben presto di chi doveva essere il suo sostegno, ma sicura coll’energia della sua volontà appoggiata all’aiuto celeste, seppe con durre a termine felicemente la missione che Dio le aveva affidata. […] Dalla natura era stata fornita di una risolutezza di volontà che, coadiuvata da uno squisito buon senso e dalla grazia divina, doveva farla riuscire vincitrice di tutti quegli ostacoli spirituali e materiali che avrebbe incontrati nel corso della vita. […] retta nella sua coscienza, nei suoi affetti, nei suoi pensieri, sicura nei suoi giudizi intorno agli uomini e alle cose, spigliata nei suoi modi, franca nel suo parlare, non sapeva che cosa fosse esitare, temere od arrossire […]. Questa franchezza fu una salvaguardia alla sua virtù, perché unita ad una prudenza che non le lasciava porre il piede in fallo […]. Povera, sapeva vedere nei poveri il volto di Dio»[4].

Troviamo nella mamma i tratti che saranno del figlio, una felice sintesi di natura e di grazia, fusi in un unico progetto di vita: il servizio dei giovani. Lei è tutta dei suoi figli, lui è tutto per i ragazzi più poveri e abbandonati. Lapidaria risulta la Positio che chiude la fase diocesana del riconoscimento delle sue virtù, riassumendo così la sua identità di beatitudine e santità:

“Donna forte di biblica memoria”,

madre eroica ed educatrice saggia.

 

Mamma Margherita si staglia come una delle donne della storia biblica, umile, forte e robusta, modello per i figli ed educatrice che, educata dalla grazia di Dio, riesce a educare e far crescere umanamente e cristianamente i figli, in particolare il più piccolo, quel grande educatore che fu il suo figlio Giovanni. In Lei si esprime quella genialità femminile e quell’arte educativa frutto non di studi o teorie, ma di quella sapienza che lo Spirito di Dio effonde nei cuori dei semplici e degli umili.

Qualche flash della vita trasmessaci dallo stesso Don Bosco invera quanto affermato del profilo di Margherita Occhiena appena abbozzato.

 

Il 26 ottobre 1835, quando Giovanni, a vent’anni, veste la talare a Castelnuovo, nella chiesa parrocchiale, così è formulato dal figlio il comportamento della santa genitrice e riportato il suo monito: «mia madre mi teneva lo sguardo addosso […] La sera precedente alla partenza, mi chiamò a sé e mi fece questo memorando discorso: “Giovanni mio, tu hai vestito l’abito sacerdotale; io ne provo tutta la consolazione che una madre può provare per la fortuna di suo figlio. Ma ricordati che non è l’abito che onora il tuo stato, è la pratica della virtù. Se mai tu venissi a dubitare di tua vocazione, ah per carità! non disonorare questo abito. Deponilo tosto. Amo meglio di avere un povero contadino che un figlio prete trascurato nei suoi doveri”».

 

Alla vigilia dell’ordinazione finalmente raggiunta sabato 5 giugno 1841, Margherita a Chieri così ammonisce il figlio: «Senti, Giovanni. Non ho nulla da dirti per ciò che riguarda la tua vocazione, se non di seguirla come Dio te la ispira. Non preoccuparti per me. Da te non aspetto niente. E ritieni bene questo: sono nata in povertà, sono vissuta in povertà, voglio morire in povertà. Anzi te lo protesto: se tu per avventura diventassi un prete ricco, non verrò a farti una sola visita». Annota il biografo Don GB. Lemoyne a tal proposito: «Don Bosco, a 70 e più anni, aveva ancora nell’orecchio il tono imperioso e vibrato con il quale essa aveva pronunciato queste parole» (MB, vol. I, p. 296). In quella circostanza, Mamma Margherita svelò al suo Giovanni quel segreto che era alla radice del sogno dei nove anni, della sua vocazione e della sua esistenza: «Quando sei venuto al mondo, ti ho consacrato alla Beata Vergine. Quando hai cominciato i tuoi studi, ti ho raccomandato la devozione a questa nostra madre. Ora ti raccomando di essere tutto suo. Ama i compagni devoti di Maria; e, se diverrai sacerdote, raccomanda e propaga sempre la devozione a Maria». Don Bosco ci confida: «mia madre era commossa e io piangevo. “Madre – le risposi – vi ringrazio di tutto quello che avete fatto per me. Queste vostre parole non saranno dette invano, ne farò tesoro in tutta la mia vita”» (MO, p. 89). Alla sera del giorno seguente, dopo aver presieduto una delle prime messe, rimasto solo con Mamma Margherita, in un momento di intima conversazione, questo fu il ricordo che gli lascia la madre: «Giovanni, sei prete, dici la Messa, da qui avanti sei dunque più vicino a Gesù Cristo. Ricordati però che cominciare a dir Messa vuol dire cominciare a patire. Non te ne accorgerai subito, ma a poco a poco vedrai che tua madre ti ha detto la verità. Sono sicura che tutti i giorni pregherai per me, sia ancora io viva o sia già morta: ciò mi basta. Tu da qui innanzi pensa solamente alla salute delle anime, e non prenderti nessun pensiero di me» (MB, vol. I, p. 522).

 

Nel luglio 1846, non tarda ad arrivare per Giovanni il momento della prova e della sofferenza. Stanco e privo di forze per il suo lavoro ministeriale, sfiora la morte. Saranno i suoi ragazzi a strappare il miracolo a Dio e alla Vergine SS. Ai suoi figli farà la sua promessa davanti a Dio: «Miei cari: avete pregato e fatto tanti sacrifici perché ricuperassi la salute. Grazie. Io vi debbo la vita. Ebbene: vi prometto che la vivrò tutta per voi». Dopo la convalescenza ai Becchi di alcuni mesi, egli vuole tornare nella casa Pinardi, presa in affitto, in quel quartiere malfamato di Valdocco. Segue il consiglio del parroco di Castelnuovo e invita la madre a seguirlo a Torino. «Se ti pare tal cosa piacere al Signore, io sono pronta a partire in sul momento»: questa è la pronta risposta di colei che diventerà madre una seconda volta, per i figli tolti dalla strada e dai pericoli dal suo figlio. Il 3 novembre 1846, giù dai colli, con poche cose in mano, scendono a piedi verso la città di Torino. Così commenta l’episodio Don Lemoyne racchiudendo in una metafora di santità semplice un’intera vita: «Il corso dei suoi giorni fu come quello di un limpido ruscello, che senza fragore scendendo dal colle nativo, va vivificando con le sue onde le erbette e i fiori dei suoi margini, terminandosi col perdersi silenzioso fra le acque del fiume»[5]. Questo spostamento richiede a madre e figlio un cambiamento di vita e di mentalità, ma non perdono il tepore del focolare e il clima di famiglia. Anzi conquistano altri, adulti e giovani.

In tanti anni trascorsi nell’Oratorio di Valdocco, tutti la chiamano “mamma” ed è subito casa, famiglia, spirito di semplicità, cordialità e convivialità. Tra stenti e sacrifici, Margherita si affeziona ai ragazzi, ne conosce di santi come Domenico apprezzandone le virtù, ma non tutti sono come il Savio. Qualche marachella di troppo mise più volte a rischio il suo lavoro nell’orto e mandò in frantumi il frutto delle sue fatiche. Erano passati dal 1846 quattro anni e una sera, scoraggiata e sfiancata, confidò al figlio: «Senti, Giovanni, non è più sopportabile. Ogni giorno questi ragazzi me ne combinano una nuova […] Lasciami andar via. Lasciami tornare ai Becchi; vi finirò i miei giorni tranquilla». Spiazzato a primo achito, Don Bosco la guarda, avrà pensato ai ricordi della vigilia dell’ordinazione e con un semplice gesto restituisce la lezione. Indica il Crocifisso appeso al muro di quella povera dimora. Margherita capisce. Quel gesto gli scende nel cuore, insieme a qualche lacrima sul volto. «Hai ragione, disse, hai ragione». Riprese le sue occupazioni d’ogni giorno. «Da quell’istante – annotano le Memorie Biografiche – più non sfuggì dal suo labbro una parola di malcontento» (MB vol. IV, p. 233).

Mamma Margherita muore il 25 novembre 1856 alle ore 3, dopo aver ricevuto i sacramenti e aver avuto parole e gesti di tenerezza nei confronti del suo Giovanni: «Dio sa quanto ti ho amato; ma di lassù sarà ancora meglio. Ho fatto tutto ciò che ho potuto. Se qualche volta sono sembrata severa, era per il vostro bene. Di’ ai ragazzi che ho lavorato per loro, come una mamma. Preghino e offrano una santa comunione per me»[6].

Il senso di maternità non si perde nell’Oratorio, altre mamme si avvicenderanno (la Mamma di Don Rua e del futuro Mons. Gastaldi) per far sentire tanto affetto ai ragazzi di Don Bosco. Ma sarà Maria SS. a esprime che Dio non è solo Padre ma anche Madre. Due giorni dopo la morte di Mamma Margherita, Don Bosco trova rifugio al Santuario della Consolata e affida alla Vergine la sua opera, le sue lacrime e i suoi figli: «O pietosissima Vergine, io e i miei figliuoli siamo ora senza madre quaggiù; deh! Siate Voi d’ora innanzi in particolar modo la Madre mia e la Madre loro»[7].

 

  1. Il desiderio e il marchio del padre

 

Mi sia permesso, dopo aver parlato della madre, dilatare l’attenzione della mente e del cuore, anche alla figura paterna che, sebbene abbozzata nei ricordi del piccolo Giovanni, rimane impressa nel suo animo per tutta la vita.

Quando Giovanni ha appena due anni (21 mesi), domenica 11 maggio 1817 una sciagura immane si abbatte sulla famiglia Bosco, già provata da due anni di siccità e di scarsi raccolti (1816-1817): muore improvvisamente papà Francesco di polmonite fulminante. Nessun rimedio per lui. Nel testamento chiede trenta sante Messe in suffragio, riceve il viatico, e confida alla consorte di avere la fortuna di morire a 33 anni, come il Cristo. Le raccomanda i figli e soprattutto di fidarsi della Provvidenza. Questa consegna fu di grande consolazione per Mamma Margherita che insieme alle lacrime imparò a non disperare mai e a lottare sempre senza arrendersi, nella piena fiducia in Dio che non abbandona mai i suoi figli. Don Bosco, anni più tardi, nel 1873-75, così ricorda quella tragica separazione dal padre, unica lucida esperienza della sua infanzia: «Mentre tutti uscivano dalla camera del defunto, io ci volevo assolutamente rimanere. “Vieni, Giovanni, vieni meco”, ripeteva l’addolorata genitrice. “Se non viene papà, non ci voglio andare”, risposi. “Povero figlio, vieni meco, tu non hai più padre”. Ciò detto ruppe in un forte pianto, mi prese per mano e mi trasse altrove, mentre io piangevo perché ella piangeva… Questo fatto mise tutta la famiglia nella costernazione” (MO, p.19).

Il vuoto lasciato da papà Francesco, non scoraggia Margherita a cui toccherà di educare i figli, facendo da padre e da madre, coniugando insieme fermezza e dolcezza. Porta avanti la famigliola composta da tre figli (9, 4 e 2 anni) e la suocera. A novembre è costretta a rescindere il contratto di affitto della casa Biglione per andare a stabilirsi nella povera abitazione che Don Bosco ebbe a chiamare “la mia casa”, povera ma ricco di santi ricordi, luogo del sogno dei nove anni. Dio sa quanti e quali furono i disagi e le ristrettezze in cui visse quella famiglia, provando sovente la fame. In simili occasioni rimane forte la memoria del marito; e ancora più forte la sua fede che illumina le notti più oscure, misto ad un senso di sano realismo: «“Vostro padre morendo mi disse di avere confidenza in Dio. Venite, adunque, inginocchiamoci e preghiamo”. Dopo breve preghiera si alzò e disse: “Nei casi estremi si devono usare mezzi estremi”. Quindi con l’aiuto di un vicino andò alla stalla, uccise un vitello, e facendone cuocere una parte in tutta fretta, poté con quella sfamare la famiglia…». Don Bosco commenta ricordando quei tempi così tristi ma illuminati dalla provvidenza di Dio: «Ognuno può immaginare quanto abbia dovuto soffrire e faticare mia madre in quella calamitosa annata» (MO, p.20). Alla sopraggiunta proposta di un matrimonio assai vantaggioso, ella rifiuta decisamente: «Dio mi ha dato un marito e me lo ha tolto. Morendo egli mi affidò tre figli, e io sarei madre crudele se li abbandonassi nel momento in cui hanno maggior bisogno di me».

Se il sistema educativo di Don Bosco, trova il modello e la fonte umana primigenia in Mamma Margherita, non si può tacere l’intensa, seppur breve, testimonianza che papà Francesco offre a Giovannino consegnata e filtrata dalla guida sapiente della madre. Non si toglie nulla a lei, se si richiama la figura paterna di Francesco. Anche se prematuramente scomparso costituisce il modello e il parametro di coloro che faranno da padre a Giovannino nel suo processo di crescita, come Don Calosso e Don Cafasso, e che lo segneranno profondamente nella sua vita futura.

 

  1. Il figlio diventato padre, fratello, maestro e amico dei giovani[8]

 

Quale sia il peso di spiazzamento e di svantaggio che genera la perdita del padre è difficile da calcolare e da immaginare. Può ingenerare un default esistenziale, la frustrazione di essere abbandonati e insicuri, di sentirsi orfani, una messa fuori gioco nel flusso della generatività. La vita, però, non cade sotto il segno del fatalismo, degli automatismi, ma talora meraviglia e stupisce per un’inedita e inaspettata rifioritura. Se poi entra in azione la grazia di Dio, si ha il miracolo della paternità ritrovata. Quello che umanamente parlando è considerata una perdita può diventare un guadagno e una risorsa (cfr. Fil 3,7), attingendo, a piene mani e a cuore pieno, alla paternità di Dio.

L’infanzia di Giovannino, sotto la guida di Mamma Margherita, è un percorso di elaborazione della perdita del padre e di cura della ferita prodotta da essa. La ferita diventa così feritoia da cui scorgere Dio come Padre provvidente e previdente che non abbandona mai, di cui ci si può fidare12 e di cui si può diventare riflesso verso chi, verso altri ragazzi e giovani, hanno vissuto lo stesso dramma e sperimentato la stessa carenza d’affetto.

La paternità spirituale, che Don Bosco maturerà in futuro, scaturisce dalla coscienza di essere e di sentirsi figlio di Dio, destinatario di un sogno e di un’attenzione particolare da parte di Dio Padre, tramite la figura maschile del Figlio di Dio e quella femminile della Madre Maria. Quest’esperienza fondamentale della “filiazione” non è immediata e scontata, bensì frutto delle mediazioni che Dio ha predisposto nella vita di Giovanni Bosco e della docilità personale che egli matura allo Spirito di Dio che illumina le menti e plasma i cuori. Inoltre, tale percorso non avviene al di fuori delle dinamiche psicologiche e a prescindere da tante difficoltà e ripetute “perdite”: Don Bosco è riuscito, infatti, «fin da bambino grazie alle proprie disposizioni e alle particolari esperienze di vita ad obiettivare i propri sentimenti nell’attività creativa e ad incanalarli in relazioni interpersonali efficaci, ivi comprese le sue relazioni con il soprannaturale» (G. Stickler). È questo il miracolo della generazione e della rigenerazione.

 

  1. Di generazione in generazione

 

Termino rifacendomi ad un aneddoto perché possiamo riscoprirci generati e generatori, discendenti di un sognatore e di una madre che non ha mai oscurato il desiderio del figlio ma lo ha sempre incoraggiato affinché i sogni diventino realtà. Narrano le Memorie Biografiche che mentre Don Bosco sta per rientrare in camera parla cuore a cuore con Don Giulio Barberis primo maestro dei novizi: “Voi compirete l’opera che io incomincio. Io abbozzo, voi stenderete i colori”. Alle parole di Don Bosco, Don Barberis esclama: “Purché non guastiamo quello che Don Bosco fa”. E il padre così corregge il figlio rinnovando la fiducia verso tutti i suoi figli di ieri e di oggi, di generazione in generazione: “Oh no! Ecco, adesso io faccio la brutta copia della Congregazione e lascerò a coloro che mi vengono dopo di fare la bella. Ora c’è il germe” (MB XI, p. 309).

 

 

 

 

 

Per saperne di più e meglio

 

Chávez Villanueva Pascual, “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia” (Lc 2,52). Un’esperienza indimenticabile. Strenna 2006, in ACG 87 (2006) 392, pp. 3-46, in particolare le pp. 16-33.

Fernández Artime Angel, Siamo famiglia! Ogni casa, scuola di vita e di amore. Strenna 2017, in ACG 98 (2017) 424, pp. 3-43, in particolare le pp. 22-24.

 

Agasso Domenico, Renzo, Domenico jr., Don Bosco: una storia senza tempo, Elledici, Torino 2014.

Bianco Enzo, Mamma Margherita educava così, Elledici, Torino 2006.

Bosco Teresio, Mamma Margherita la mamma di Don Bosco, Elledici, Torino 2007.

Cameroni Pier Luigi, Essere famiglia alla scuola di Mamma Margherita, Elledici, Torino 2006.

Cerrato Natale, I fioretti e i proverbi di Mamma Margherita, la mamma di Don Bosco, Elledici, Torino 2005.

Fantozzi Aldo, Mamma Margherita. La madre di Don Bosco, Elledici, Leumann (TO) 1992

Ruta Giuseppe, La paternità “spirituale” di Don Bosco, in “Itinerarium” 24 (2016) 62/63, pp. 145-158.

Valentini Eugenio, Il Sistema Preventivo nella vita di Mamma Margherita, Libreria Dottrina Cristiana, Torino 1957.

 

Mamma Margherita la mamma di Don Bosco, Elledici, Torino (DVD) 2012 (75’).

 

[1] Cfr. G. Joergensen, Don Bosco, SEI, Torino 1929, p. 19.

[2] G.B. Lemoyne, Mamma Margherita la Madre di San Giovanni Bosco (1886), SEI, Torino 1956, p. 197.

[3] Nel 1811, papà Francesco era rimasto vedovo della prima moglie Margherita Cagliero, dalla quale aveva avuto oltre Antonio una figlia di nome Teresa Maria, morta nel 1810 due giorni dopo la nascita.

[4] G.B. Lemoyne, Mamma Margherita la Madre di San Giovanni Bosco, SEI, Torino 1956, pp. 9-10. 14.

[5] G.B. Lemoyne, Mamma Margherita la Madre di San Giovanni Bosco, p.10.

[6] Cfr. G.B. Lemoyne, Mamma Margherita la Madre di San Giovanni Bosco, pp. 189-197.

[7] G.B. Lemoyne, Mamma Margherita la Madre di San Giovanni Bosco, p. 196.

[8] Il punto 3 è tratto da: G. Ruta, La paternità “spirituale” di Don Bosco, in “Itinerarium” 24 (2016) 62/63, pp. 148-149 (145-158).